Anche i gruppi facebook, se usati nell’ambito di un’attività economica, rientrano nella categoria dei segni distintivi seppur “atipici”. Da ciò deriva che anche rispetto ad essi può configurarsi la commissione di atti di concorrenza sleale e di contraffazione del marchio. Questo è quanto deciso dal Tribunal di Torino Sez. spec. propr. industr. ed intell. con Ordinanza addì 07.07.2011.
Nella vicenda, era accaduto che un ex dipendente di una ditta era entrato all’interno del gruppo e, avvalendosi abusivamente della qualità di amministratore, aveva modificato il nome del gruppo in modo tale che la nuova denominazione corrispondesse a quella della propria azienda, azienda operante in concorrenza con l’altra “usurpata”.
Il Tribunale di Torino, adito dal gruppo, ha accolto la domanda in sede cautelare ed ha disposto l’immediato ripristino della precedente denominazione, condannando l’amministratore “abusivo” per l’illegittima e anticoncorrenziale manomissione del Gruppo Facebook.
Secondo il giudicante torinese, infatti, la creazione di un Gruppo Facebook mira allo sfruttamento delle potenzialità di Internet e del notissimo social network per la realizzazione di una molteplicità di contatti privilegiati e interattivi con soggetti interessati ad una certa persona o a un certo argomento. In particolare tale strumento può essere estremamente utile quale veicolo collaterale di informazione e di promozione di una attività aziendale se il Gruppo è collegato ad una impresa commerciale. In questa prospettiva il Gruppo Facebook ha una precisa rilevanza economica e la stessa amicizia virtuale rappresenta un thesaurus di contatti qualificati potenzialmente produttivi di avviamento commerciale.
Il Gruppo Facebook pertanto, rappresentando un caso di segno distintivo atipico, è suscettibile di tutela contro l’interferenza confusoria, quantomeno ai sensi dell’art. 2598, n.1, c.c., che come è noto, protegge, in generale, anche i “segni legittimamente usati da altri” quale fattispecie espressamente considerata di atto idoneo a creare confusione con i prodotti e l’attività del concorrente.
Anche la Suprema Corte (Cass. Civ. n. 24620/2010) ha attribuito rilievo in questa prospettiva all’uso di segni distintivi atipici (dominio Internet prima della regolazione ad opera del Codice della proprietà industriale) in presenza di una funzione pubblicitaria e suggestiva del segno, finalizzata ad attrarre il consumatore nell’orbita dell’imprenditore, che si identifica e segnala sul mercato, nella fattispecie nella rete Internet.